da Settimana News (Armando Matteo) – È tempo di confessarci apertamente che c’è qualcosa che non va con i sacramenti dell’iniziazione cristiana. Basterebbe pensare a quel parroco che ha ammonito i genitori di non fare dono di un cellulare per la prima comunione, pena l’esclusione dei loro figli dalla celebrazione; basterebbe pensare a ciò che succede con i cresimandi, i quali, ricevuto il sacramento, letteralmente spariscono dai circuiti della comunità ecclesiale.
Eppure, a fronte di tutto ciò, quel che appare più strano è il fatto che di anno in anno nelle parrocchie non cambia nulla. Anzi, a volte, sembra di trovarsi dinanzi a un vero e proprio paradosso. Pur essendo tutti più o meno consapevoli che i ragazzi, con la cresima, abbandonano la vita della Chiesa, si insiste a lavorare per condurli alla celebrazione di quel sacramento. Ma con l’incredibile effetto che sembra che tutti lavorino proprio per fare sì che quei ragazzi lascino la comunità!
Il punto in questione è che i sacramenti stanno patendo una sorta di svuotamento dal di dentro. Non sono più simboli, ma semplici segni, ai quali ciascuno può dare il significato che vuole. Per questo, allora, proponiamo il settimo principio della Pastorale giovanile vocazionale: Unisci sempre sacramenti e carità. Indicazione che ci spinge a lavorare affinché la partecipazione alle opere di carità della parrocchia e alle esperienze di volontariato sia sempre di più proposta e richiesta quale elemento di verifica del cristianesimo interiorizzato. E dell’assunzione del carattere missionario proprio della fede, che i sacramenti dell’iniziazione indicano e propiziano.
Non è più possibile pensare alla preparazione alla prima comunione e alla cresima (e, in qualche misura, alla stessa preparazione al matrimonio), senza che si dia concreta occasione di un esercizio della carità per coloro che si preparano a vivere tali sacramenti. Non è più sufficiente dire e fare in modo che il catechismo non ricalchi lo schema scolastico d’apprendimento. Serve fare ancora di più per chi inizia il suo cammino verso la fede, specialmente oggi, quando si vive uno scarso senso di solidarietà e si ritiene che i poveri e i bisognosi siano affare semplicemente dello Stato. O al massimo delle loro famiglie. È urgente collegare la celebrazione sacramentale della fede con una vera e propria immersione dentro le forme vissute della carità e della prossimità.
Mi piace riportare un aneddoto particolarmente istruttivo di fratel Arturo Paoli a proposito della sua prima comunione: «Al mattino, dopo la messa, il parroco ci aveva radunati nella sala della parrocchia dove ci aveva offerto una deliziosa cioccolata calda. Un modo semplice per fare festa, per distinguere quel giorno dagli altri, per imprimere nella nostra mente, forse, la dolcezza della presenza di Gesù. “Oggi pomeriggio andiamo a restituire la visita a Gesù”, mi disse mia mamma mentre terminavamo il pranzo, e andammo all’ospizio».