da Vatican News (Luisa Urbani) – Nel 2014 la Piana di Ninive è caduta sotto il controllo dei miliziani jihadisti del sedicente Stato islamico. Violenze, conflitti, case distrutte. Una situazione che ha portato all’allontanamento di decine di migliaia di persone. Così nell’agosto del 2014 è iniziato l’esodo dei cristiani. Nell’estate del 2017, dopo tre anni dalla fuga dei cristiani, il primo ministro iracheno Haider al Abadi ha annunciato che le truppe irachene avevano liberato Mosul, la più grande città irachena che era controllata dallo Stato Islamico.
L’Iraq, un Paese in ginocchio
L’Iraq del dopo Isis, però, è un Paese in ginocchio che deve ripartire da zero. A Ninive le macerie si stagliano per chilometri e chilometri: case, ponti, strade, ospedali, chiese. Poco è sopravvissuto alla furia del Califfato e ai mesi di combattimenti per strappare all’Is la roccaforte di Mosul e i villaggi cristiani della Piana.
La paura di tornare
Nonostante siano mesi che tutta la città di Mosul e l’intera pianura di Ninive sono state liberate dal dominio dei jihadisti, ancora molte città della Piana di Ninive sono quasi vuote perché molti cristiani hanno paura di tornare in quei luoghi. “Oltre 6.000 famiglie sono rientrare nei villaggi della Piana – spiega nell’intervista mons. Basilio Yelda, vescovo ausiliare di Baghdad – però sono ancora molte le persone che hanno paura di rientrare nelle proprie abitazioni”.
Mancano servizi e strade
“La rinascita è lenta, c’è ancora molto da fare. È essenziale accelerare i lavori di ricostruzione. C’è ancora un clima di incertezza, non c’è sicurezza e soprattutto mancano scuole, ospedali, acqua ed elettricità. Oltre alle case bisogna ricostruire anche il tessuto sociale ed economico. Abbiamo bisogno – prosegue il vescovo ausiliare di Baghdad – di interventi di urbanistica e ristrutturazione. L’accesso a molti villaggi è bloccato per via della mancanza delle strade”.
Il lavoro, il sogno più grande
“Il desiderio più grande delle famiglie tornate nelle loro cittadine è il lavoro. Tutti vogliono lavorare per tornare ad avere una vita come prima. Bisogna garantire un futuro attraverso il lavoro. La mancanza di occupazione getta un’ombra sul futuro e sulla rinascita di tutta la zona. Ricostruzione e ripresa delle attività sono i fattori chiave per il rientro delle centinaia di migliaia di esuli”.
Il futuro è buio
“Non c’è un futuro chiaro per queste persone e questi villaggi. Qui, ogni giorno succede qualcosa che non permette di capire quale sarà il destino di questi villaggi. A quattro anni dall’ascesa dell’Is – prosegue mons. Basilio Yelda – e a un anno dalla loro sconfitta militare, il futuro resta ancora incerto per noi. Abbiamo bisogno – dichiara – dell’intervento del Governo”.
L’importanza del cristianesimo in Medio Oriente
“Avere i cristiani nel Medio Oriente – spiega – è di fondamentale importanza perché anche loro hanno costruito la cultura di queste terre. L’importanza dei cristiani – prosegue – è emersa anche nel corso delle ultime elezioni politiche: tutti i partiti volevano avere almeno un membro cristiano. Questo perché le persone sono consapevoli che i cristiani sono persone buone e pacifiche”.
L’appello dell’ONU
Dello stesso avviso del vescovo ausiliare di Baghdad è anche Antonio Guterres, segretario generale dell’ONU, che, in occasione del colloquio avuto il 20 giugno con il Patriarca Kirill, Primate della Chiesa ortodossa russa, ha sottolineato come il cristianesimo sia “parte integrante” della cultura mediorientale e occorra “assicurare il ritorno dei cristiani e dei membri di altre minoranze religiose”, garantendo la stabilizzazione della situazione politica in Iraq.