Marco Tosatti – Chi pensava che la stagione dei veleni, trionfalmente inaugurata da Vatileaks & C. con il suo contorno di monsignori frustati nelle ambizioni cardinalizie fosse terminata, forse era troppo ottimista. Assistiamo infatti a una nuova serie di attacchi e mormorii, giunti fino all’attenzione dei media, contro uno dei personaggi centrali – forse il più importante – della Riforma intrapresa dal Papa. Parliamo di George Pell, cardinale australiano, dal febbraio scorso primo prefetto della Segreteria per l’Economia, l’ente di nuova formazione che dovrà assorbire e coordinare le sparse membra economiche del Vaticano. Gli attacchi non riguardano, ovviamente, il suo lavoro attuale, anche se quelli toccati dalla riforma sostengono scherzosamente che è matto e che vuole fare tutto lui. (Ma qualcuno gli ha dato proprio questo incarico, o no?). Si rilanciano storie australiane, relative a come, a Sidney, ha cercato di stabilire norme generali per compensare le famiglie delle persone vittime di abusi da parte dei preti. Ma subito le notizie rimbalzate dall’Australia hanno trovato eco interessata in Vaticano. Anche perché il lavoro di Pell tocca interessi precisi, da un punto di vista di organizzazione vaticana. Il primo è rappresentato dalla Prefettura per gli Affari Economici, alla cui testa è il cardinale Giuseppe Versaldi, bertoniano doc. La Prefettura viene sostanzialmente vuotata di poteri e di significato esistenziale dalla Segreteria guidata da Pell. Il secondo ente “in sofferenza” è l’Amministrazione del Patrimonio per la Sede Apostolica, che si occupava della gestione della “dote” consegnata dalla Stato Italiano alla firma del Concordato nel 1929, a rimborso dell’esproprio a tappeto di proprietà e beni della Chiesa in tutta Italia; oltre a immobili e altri cespiti finanziari. Ne è a capo il cardinale Domenico Calcagno, uno dei fedelissimi dell’ex Segretario di Stato Tarcisio Bertone. E poi c’è la Segreteria di Stato. Il nuovo organismo di cui è a capo George Pell deve assorbire due pezzi importanti della Segreteria di Stato: l’ufficio amministrativo, che dispone di un patrimonio ingentissimo, superiore, secondo alcune voci, a quello dello IOR, la Banca Vaticana; e l’ufficio del personale, che ha la gestione dei Nunzi e delle “ambasciate” del Pontefice in tutto il mondo. Ma ancora la struttura di Pell non ha ricevuto dalla Segreteria di Stato né l’uno né l’altro; il che autorizza a pensare che a dispetto della volontà del Papa, espressa nel suo “Motu Proprio” del febbraio scorso, siano in atto forti resistenze all’attuazione del piano di riforma. E gli avversari di Pell criticano anche l’arrivo a Roma di Danny Casey, un laico, esperto di finanze (ha messo a posto il bilancio della Conferenza Episcopale australiana, ed ha fatto quadrare quello della Giornata Mondiale della Gioventù di Sidney) chiamato da Pell da Sidney. La prossima ondata di tossicità riguarderà probabilmente lo stipendio di Casey (dicono sia di 16mila euro lordi al mese) e la sua abitazione. Che è situata in via dei Corridori, fra il Vaticano e Castel Sant’Angelo. Un appartamento di proprietà della Santa Sede, rimesso a posto con un costo non modesto. Ma gli amici del card. Bertone, ancora irritato per le polemiche di qualche mese fa sull’appartamento del cardinale, fanno rilevare che è molto grande, fra i 400 e i 500 metri quadrati (Casey ha famiglia). Insomma, la funzione di Pell dà fastidio a molti.