templari_volpedodi Andrea Guenna, Maestro Generale del SMOT – Il cammino spirituale serve per elevare l’uomo a livelli irraggiungibili nel mondo profano. Tutto ciò che è buon senso nella vita di tutti i giorni non serve in una vita spirituale. La diligenza del buon padre di famiglia, quando è conforme alla consuetudine che è sempre relativa a differenza della verità che è assoluta, non serve a chi è proiettato verso l’Assoluto. Ciò perché il buon senso è relativo e mutevole al cambiare della società. La donna era considerata inferiore, mentre oggi, finalmente, ha la sua dignità che è pari a quella dell’uomo. La guerra era l’unico modo per dirimere le gravi controversie internazionali fino a poco tempo fa e oggi, giustamente, sta diventando un tabù anche se le guerre ci sono sempre. L’omosessuale era considerato un pervertito, e oggi invece è all’onore del mondo. Il perbenismo è una gabbia per tutte le persone sensibili e intelligenti che cercano qualcosa che la società non riesce a dare loro proprio perché la società è concepita da uomini, e gli uomini sbagliano. L’ambito spirituale invece supera i concetti immanenti e cerca le verità trascendenti tendendo a Dio, che è l’Assoluto, che sta sopra. Ecco perché Gesù, Dio fatto uomo, ha scandalizzato i suoi contemporanei. Li ha scandalizzati perché per molti parlava un linguaggio non adatto a loro. Esprimeva concetti apparentemente insensati, contrastanti il buon senso, laddove si favorisce il matrimonio della figlia con un buon partito, si festeggia la nascita di un figlio che salverà un matrimonio in crisi, si riverisce più o meno una persona a seconda del potere o del conto in banca che ha. Questi, e molti altri di questo genere, sono concetti privi di significato e inutili per chi tende a Dio che, se nella vita profana li tollera per sopravvivere, in quella spirituale li ignora perché frutto della relatività sociale, delle circostanze in cui nascono e si formano senza ispirarsi alla verità che è una, e che sta al di sopra di tutto. Un esempio della dicotomia fra il buon senso e la verità ci viene dal Vangelo secondo Matteo (Mt 5,38-48). Gesù parla alla folla e dice: “Avete inteso che fu detto: Occhio per occhio e dente per dente; ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l’altra; e a chi ti vuol chiamare in giudizio per toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. E se uno ti costringerà a fare un miglio, tu fanne con lui due. Dà a chi ti domanda, e a chi desidera da te un prestito non volgere le spalle. Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico; ma io vi dico: Amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori, perché siate figli del Padre vostro celeste, che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti. Infatti se amate quelli che vi amano, quale merito ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste”. I Perfetti colgono il significato dei simboli della verità un po’ alla volta, ciascuno nei tempi e nei modi a lui propri. E non vi è analogia tra la vita profana e quella spirituale, per cui molte volte chi eccelle nell’una non eccelle nell’altra e viceversa. Prendiamo l’esempio di Mozart, insieme a Bach, il più grande genio musicale di tutti i tempi. Fu reietto, incompreso, emarginato, ma era un grande iniziato, ed era un genio vittima del perbenismo e della consuetudine. Se fosse stato un po’ più compiacente, con la sua intelligenza e la sua abilità avrebbe fatto una carriera folgorante e duratura, sarebbe stato ricchissimo, avrebbe conosciuto il successo e la stima del suo tempo. Ma così non è stato perché Mozart, come Bach, conosceva la verità e sapeva che per essa si poteva morire. Ora non ci si chiede di essere come Mozart, Tesla, Majorana, Galileo, Savonarola, Oscar Wilde, ma di tendere a loro sì. Chi pensa che per dire certe cose bisogna essere svitati non ha ancora colto il significato profondo dell’ascesi. Deve insomma fare ancora molta strada perché non comprende il significato della crescita spirituale ottenuta con fatica, facendo in modo che cuore e cervello vadano in corto circuito per sprigionare quell’energia che Pascal amava definire “Spirito di finezza” contrapposto al più consueto e logico “Spirito di geometria” tanto caro a Cartesio. Pascal affermava che i principi della matematica sono indimostrabili se non se ne coglie il significato soprattutto con l’aiuto del cuore, per cui lo spirito di geometria è la ragione scientifica che ha per oggetto le cose esteriori e procede dimostrativamente, mentre lo spirito di finezza ha per oggetto l’uomo e si fonda sul cuore, sul sentimento, sull’intuizione. Chi scrive si permette di aggiungere che lo “Spirito di finezza” è proprio degli iniziati, mentre lo “Spirito di geometria” è proprio dei profani. A chi obietta che la geometria fa parte del creato, rispondo che non è la geometria in sé ma il modo di intenderla che distingue una visione spirituale da una visione profana dell’esistenza. In virtù dello spirito di finezza le cose si “sentono”, si provano, ancorché si stenti moltissimo a descriverle. Lo spirito di finezza vede le cose nel loro insieme, con uno sguardo, e se ne coglie il significato senza ragionarci tanto sopra. Pascal dimostra che i numeri sono trascendenti e proprio per questo motivo se ne coglie il significato e la realtà in virtù d’uno stato di grazia per cui non si intende il numero uno come abbinato ad un oggetto: un palo, una mela o una pera, ma proprio come uno. Per Pascal si tratta di cercare, non tanto le verità, ma la verità, cioè quella che non deriva da nessun’altra, perché genera tutte le altre. Una verità che risiede nella capacità di cogliere ciò che piace, ciò che è più bello, esattamente come accade in musica, per cui due melodie, perfette dal punto di vista strutturale e compositivo, entrambe rispettose delle più ferree leggi del contrappunto, non sono ugualmente belle. Passare da uno stadio a quello superiore della crescita spirituale personale non significa arrivare, ma attraversare una delle tante soglie che la vita spirituale ci presenta. Raggiungere lo stadio superiore è po’ come per il cavaliere medioevale togliersi un pezzo di corazza. Si è più leggeri quindi spinti in alto ma meno protetti perché maggiormente esposti al giudizio. Tutto ciò rientra nell’ambito della sfera liturgica che è composta di ritualità, introspezione, crescita. Ed ecco spiegata l’attenzione dovuta all’ascesi conseguente ad una certa ritualità che ci consente di raggiungere stadi di yoga collettivo. La ritualità è sostanziale, non è formale. È una ritualità aristocratica, come era aristocratico Gesù, è una ritualità rivolta a pochi, ed è vera, perché  geometrica e trascendente. Dice Gesù Nostro Signore: “Non date le cose sante ai cani e non gettate le vostre perle davanti ai porci, perché non le calpestino con le loro zampe e poi si voltino per sbranarvi” (Mt. 7,6). Ecco perché bisogna affidarsi a comportamenti decisi, rituali geometrici e virili proprio perché la verità non è sfumata ma è precisa, geometrica, virile. Anche Gesù aveva un atteggiamento dolce ma virile, risoluto. Come quando scacciò i mercanti dal tempio, o le innumerevoli volte in cui apostrofò duramente i farisei e i pubblicani. Non era tenero, Gesù, ma fermo, inflessibile. Non lesinava i più feroci rimproveri ai suoi cari apostoli: “Pietro, io ti dico: non canterà oggi il gallo prima che tu per tre volte avrai negato di conoscermi” (Lc.: 22-34). Il Signore Gesù era preciso, logico, semplicemente perfetto come la matematica. In particolare privilegiava l’algebra e la contabilità applicata alla morale attraverso il principio del dare e dell’avere: “Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio” (Mt.: 22 – 21). Nel Padrenostro ci ha insegnato a dire: “Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori”, che non è altro se non una partita di dare-avere. Allo stesso modo ha assolto la Maddalena salvandola dalla lapidazione. San Giovanni racconta: “In quel tempo, Gesù si avviò verso il monte degli Ulivi. Ma all’alba si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui ed egli, sedutosi, li ammaestrava. Allora gli scribi e i farisei gli conducono una donna sorpresa in adulterio e, postala nel mezzo, gli dicono: “Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?”. Questo dicevano per metterlo alla prova e per avere di che accusarlo. Ma Gesù, chinatosi, si mise a scrivere col dito per terra. E siccome insistevano nell’interrogarlo, alzò il capo e disse loro: “Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei”. E chinatosi di nuovo, scriveva per terra. Ma quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani fino agli ultimi. Rimase solo Gesù con la donna là in mezzo. Alzatosi allora Gesù le disse: “Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?”. Ed essa rispose: “Nessuno, Signore”. E Gesù le disse: “Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più”. (Vangelo di Giovanni 8, 1-11). Ma Nostro Signore ha messo in crisi anche la consuetudine attinente alla religione quando dice, per esempio: “Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu va’ e annunzia il regno di Dio” (Lc.: 9 – 60) e ha fatto capire che, senza se e senza ma, o lo si segue o è meglio lasciar perdere: “Nessuno che ha messo mano all’aratro e poi si volge indietro, è adatto per il regno di Dio” (Lc.: 9 – 62). Seguire Nostro Signore significa andare verso la Verità che sta al di sopra di tutto. Ecco che la Verità non è consuetudine, buon senso, diligenza del buon padre di famiglia, ma rivoluzione. La Verità è data solo a pochi. Dice Gesù Nostro Signore: “A voi è dato conoscere i misteri del regno di Dio, ma agli altri solo in parabole, perché vedendo non vedano e udendo non intendano” (Lc. 8,9).
Ecco allora che la via rituale non è propria della moltitudine ma dell’aristocrazia.
È propria degli iniziati.
Ciò che è ragionevole per molti può non esserlo per un iniziato.
Ciò che è buono per molti può non esserlo per un iniziato.
L’iniziato è quello che procede per la strada più breve tendendo direttamente a Dio senza intermediari. Dialoga col Padre e chiede solo a lui perché ascolta sempre.
Dice Gesù: “Chiedete e vi sarà dato; cercate e troverete; bussate e vi sarà aperto; perché chiunque chiede riceve, e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto. Chi tra di voi al figlio che gli chiede un pane darà una pietra? O se gli chiede un pesce, darà una serpe? Se voi dunque che siete cattivi sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro che è nei cieli darà cose buone a quelli che gliele domandano!” (Mt.: 7 – 7). Notate che Gesù dice che Dio è nostro padre: “…quanto più il Padre vostro che è nei cieli”.
Gli iniziati cercano l’essenzialità perché lì troviamo la verità: “Sia invece il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno.” (Mt.: 5 – 37).
Questa esperienza favorisce la crescita che si estrinseca in atteggiamenti virtuosi che devono essere un esempio per tutti, affinché tutti procedano verso la Luce con fede, che vuol dire fiducia, perché il Signore non ci abbandonerà mai. Ma dobbiamo stare attenti perché le insidie sono molte: “Ecco: io vi mando come pecore in mezzo ai lupi; siate dunque prudenti come i serpenti e semplici come le colombe.” (Mt. 16), e le apparenze possono ingannare facilmente: “Il Signore rispose a Samuele: “Non guardare al suo aspetto né all’imponenza della sua statura. Io l’ho scartato, perché io non guardo ciò che guarda l’uomo. L’uomo guarda l’apparenza, il Signore guarda il cuore”. (Samuele 16 -7).