di Gaetano Mazzucca – L’inchino al boss di Oppido Mamertina, purtroppo, non è stato un episodio isolato. La conferma arriva dalle indagini della Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria sulle commistioni tra religione e ’Ndrangheta. Sulla scrivania degli inquirenti ci sono altre due vicende che sembrano ricalcare quanto avvenuto il 2 luglio scorso durante la processione della Madonna delle Grazie. Tre paesi, distanti solo una manciata di chilometri, storie simili, a Oppido, a San Procopio e a Scido. Tre occasioni in cui il rito religioso rischia di essere sporcato dalla simbologia delle cosche. La prima segnalazione risale a marzo, quando durante una processione a Scido i carabinieri notano qualcosa di strano. Una sosta, pare, non prevista, proprio nelle vicinanze dell’abitazione del capo-bastone del paesino. I militari dell’Arma annotano tutto e mandano una dettagliata informativa alla Procura Antimafia. Il fatto resta sotto silenzio, almeno fino al deflagrare del caso Oppido, quando il maresciallo dei carabinieri Andrea Marino abbandona la processione dopo l’inchino della statua in prossimità della casa del boss Peppe Mazzagatti che sta scontando ai domiciliari dove una condanna per omicidio e associazione mafiosa. Il militare filma e identifica tutti i portatori che finiranno pochi giorni dopo sul registro degli indagati. Ma propriomentre lo scandalo esplode, a pochi chilometri di distanza si svolge una nuova processione. Il paese di San Procopio festeggia il suo patrono. Durante la cerimonia la statua del Santo si è fermata davanti all’abitazione in cui abita la moglie di Nicola Alvaro, 70 anni, detenuto da anni per danneggiamento ed estorsione aggravate dalle modalità mafiose e ritenuto dagli investigatori un elemento di spicco dell’omonima cosca. Era stato arrestato il 5 ottobre del 1982 come autore materiale dell’omicidio del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, ma fu poi prosciolto da ogni accusa. La moglie del boss, quando la statua si è fermata, ha donato un obolo. Usanza comune, si apprende, a tutte le abitazioni del piccolo paese dove abitano circa 600 persone. La statua, infatti, si ferma davanti all’abitazione di anziani o malati e uno dei componenti della famiglia che vi abita esce e offre un obolo. In ogni caso, i carabinieri hanno inviato una segnalazione alla Dda. Il nuovo “inchino” della statua di San Procopio viene però seccamente smentito da Edoardo Lamberti Castronuovo che, oltre a essere il sindaco del paese, è anche assessore alla legalità della Provincia di Reggio. «È una baggianata grande quanto il mondo, una bugia. Alla processione ero presente io assieme al parroco e ai carabinieri, ai quali a ogni sosta chiedevo se fosse tutto regolare». Il primo cittadino ritiene impossibile la donazione della moglie del boss a pochi passi dalla statua «perché la raccolta degli oboli avviene 10 metri più avanti rispetto alla processione, ad opera di bambini di 10 anni». La Procura, però, procede. Per il capo dell’ufficio giudiziario Federico Cafiero de Raho «l’indagine dovrà verificare il possibile condizionamento della processione da parte della ’ndrangheta. In ogni caso questo episodio mi sembra l’ulteriore dimostrazione delle pressioni delle cosche sul territorio».