cistercensi porticoA cura di padre Goffredo Viti, Ordine Cistercense

La Carta Caritatis (1119), o Charta Caritatis (espressione latina che significa Carta della carità), è un testo legislativo cistercense, scritto originalmente da Santo Stefano Harding con la finalità di regolare il rapporto tra i monasteri dell’Ordine e il governo dell’intero gruppo di abbazie.

Prefazione
Prima ancora che le abbazie cistercensi cominciassero a moltiplicarsi, l’abate Stefano e i suoi confratelli stabilirono che non venissero assolutamente fondate abbazie in nessuna diocesi, senza che prima il vescovo avesse accettato un decreto scritto e firmato tra il monastero di Cîteaux e gli altri da esso fondati, onde evitare dissensi tra i vescovi e gli stessi monaci. Pertanto in questo decreto, i suddetti fratelli, allo scopo di non compromettere in futuro la vicendevole pace, hanno evidenziato, stabilito e tramandato ai loro posteri a quale condizione ed in qual modo, anzi con quale carità i loro monaci, separati fisicamente nelle abbazie sparse nelle diverse parti del mondo, fossero indissolubilmente uniti nello spirito. Deliberarono anche che questo scritto si chiamasse Carta di Carità, poiché il suo statuto, rifiutando ogni tipo di esazione, si ispira unicamente alla carità e al bene delle anime sia nelle cose divine che umane.

Capitolo primo
Poiché noi tutti ci riconosciamo servi, benché inutili, di un unico vero Re, Signore e Maestro, non imponiamo alcuna tassa né sui beni materiali né sulla cose temporali ai nostri abati e monaci confratelli che Dio, nella sua bontà, vorrà riunire in diversi monasteri sotto una stessa disciplina regolare per mezzo di noi che siamo i più indegni degli uomini. Desiderosi infatti di giovare a loro e a tutti i figli della santa Chiesa, non vogliamo né aggravarli con le imposte, né diminuire le loro risorse, cosicché arricchendoci a spese della loro povertà, noi ci rendiamo colpevoli del vizio dell’avarizia che, secondo l’Apostolo, è una vera idolatria. Vogliamo però, in virtù della carità, riservarci la cura delle loro anime, affinché, quando cominciassero a deviare, Dio non voglia, anche solo di poco dalla primitiva risoluzione e dall’osservanza della santa Regola, possano, con la nostra sollecitudine, ritornare alla rettitudine di vita.

Capitolo secondo
Ora noi vogliamo e comandiamo loro di osservare in tutto la Regola di San Benedetto come è osservata nel Nuovo Monastero. Essi non mutino il senso nella lettura della santa Regola, ma come la interpretarono e l’osservarono i nostri predecessori, cioè i santi padri, monaci del Nuovo Monastero, ed oggi noi la interpretiamo e la osserviamo, così essi pure la interpretino e l’osservino.

Capitolo terzo
Dal momento che noi accogliamo nel nostro monastero tutti i loro monaci e loro, allo stesso modo, accolgono i nostri nei loro cenobi, ci sembra perciò opportuno, anzi è nostra volontà che le consuetudini, il canto e tutti i libri necessari alle ore canoniche diurne e notturne e alla Messa siano conformi a quelli del Nuovo Monastero, affinché nel nostro modo di agire non ci sia discordanza alcuna, ma viviamo nella stessa carità, con la stessa Regola e con le medesime consuetudini.

Capitolo quarto
Quando poi l’abate del Nuovo Monastero verrà a far visita a qualcuno di questi monasteri, l’abate del luogo, in segno di sudditanza al monastero di Cîteaux che ne è la madre, gli cederà il posto in tutto. L’abate del Nuovo Monastero (Cîteaux) al suo arrivo prenderà il posto dell’abate visitato e lo conserverà fin quando resterà ospite. Durante la sua permanenza non mangerà con gli Ospiti, ma nel refettorio con i monaci per mantenere la disciplina, a meno che l’abate del luogo non fosse assente. Tutti gli abati del nostro Ordine, che visiteranno una abbazia da loro fondata, faranno altrettanto. Nel caso che si incontrassero più abati e l’abate del luogo fosse assente, il primo di loro (in ordine di fondazione) mangi con gli ospiti. Fa eccezione una sola cosa: sarà l’abate del luogo, anche alla presenza dell’abate Maggiore, ad ammettere i suoi novizi alla professione dopo il periodo di prova. Inoltre l’abate del Nuovo Monastero si guardi bene di non intromettersi nel regolare e disporre dei beni di quel monastero che verrà visitato, contro la volontà dell’abate del luogo e dei monaci. Se poi rileverà che in qualche monastero si verificassero abusi contro le prescrizioni della Regola o contro le disposizioni del nostro Ordine, si preoccuperà di riprenderli caritatevolmente con la collaborazione dell’abate del luogo. Anche se l’abate del luogo fosse assente, correggerà ciononostante gli inconvenienti che avrà scoperto.

Capitolo quinto
Una volta all’anno l’abate dell’abbazia-madre visiti tutti i monasteri da lui fondati. Se egli visiterà più frequentemente i fratelli, questi se ne rallegrino maggiormente.

Capitolo sesto
Allorché qualche abate del nostro Ordine venisse al Nuovo Monastero gli siano resi gli onori dovuti. Occupi lo stallo dell’abate, qualora questi fosse assente, riceva gli ospiti e mangi con loro. Se invece è presente, non faccia nulla di quanto detto, ma mangi nel refettorio comune. Il priore del luogo abbia cura degli affari del monastero.

Capitolo settimo
Tutti gli abati di questi monasteri una volta all’anno, nel giorno che avranno concordemente stabilito, si recheranno al Nuovo Monastero. Qui tratteranno della salute delle loro anime e delle loro comunità. Daranno disposizioni circa l’osservanza della santa Regola o (le consuetudini) dell’Ordine, nel caso che ci fosse qualcosa da correggere o da aggiungere, e ristabiliranno tra loro la pace e la carità fraterna. Se ci fosse qualche abate poco zelante nell’osservanza della Regola o troppo intento agli affari secolari o fosse trovato vizioso in qualche cosa, qui in capitolo sia ripreso caritatevolmente. Colui che è stato richiamato chieda perdono e compia la penitenza che gli sarà ingiunta. Questa riprensione sia fatta esclusivamente dagli abati. Se poi, per caso, qualche abbazia fosse venuta a trovarsi in estrema povertà, l’abate di quel luogo faccia presente il caso a tutto il capitolo. Allora ciascun abate, acceso dalla più grande carità, si affretti a risollevare l’indigenza di quella abbazia con i beni concessi da Dio a ciascuno, secondo le proprie risorse.

Capitolo ottavo
Quando poi, grazie a Dio, una delle nostre abbazie avrà preso un tale sviluppo e potrà permettersi una nuova fondazione, i monaci della suddetta abbazia osserveranno tra di loro la stessa costituzione che noi osserviamo tra di noi. Vogliamo tuttavia e riteniamo per noi che tutti gli abati da tutte le parti vengano al Nuovo Monastero il giorno stabilito concordemente e qui si attengano in tutto alle direttive dell’abate di Cîteaux e al capitolo nel riprendere le manchevolezze e nello stabilire l’osservanza della santa Regola e dell’Ordine. Non ci sia però il capitolo annuale tra loro e quelle abbazie che avranno fondato. Se poi, talvolta, una malattia o l’ammissione dei novizi alla professione monastica impedisse a qualcuno dei nostri abati di presentarsi il giorno stabilito nel luogo determinato, vi invii in sua vece il proprio priore, il quale abbia cura di giustificare al capitolo l’assenza del proprio abate. Infine, tutto ciò che sarà stabilito o cambiato lo riferisca, in monastero, al suo abate e ai fratelli. Se qualcuno però, per qualsiasi altro motivo, presumesse di non partecipare al capitolo generale, al successivo capitolo chiederà scusa per l’assenza dell’anno precedente e farà la soddisfazione, per la colpa leggera, per tutto il tempo che il presidente del capitolo lo riterrà opportuno.

Capitolo nono
Qualora si venisse a sapere che qualche abate disprezza la Regola o il nostro Ordine, oppure che acconsente ai vizi dei fratelli a lui affidati, l’abate del Nuovo Monastero provveda – personalmente o per mezzo del priore della propria abbazia oppure per lettera – ad ammonire fino a quattro volte quella stessa persona affinché si emendi. Se disprezzasse questi provvedimenti allora l’abate della abbazia-madre si preoccupi di rendere noto il suo errore al vescovo nella cui diocesi si trova (il monastero) e ai chierici della stessa chiesa. Questi mandino a chiamare l’accusato e, discutendo diligentemente la causa con l’abate suddetto, o lo inducano ad emendarsi oppure, se risulterà incorreggibile, lo rimuovano dalla cura pastorale Se invece il vescovo e i chierici, non dando peso alla trasgressione della santa Regola verificatasi in quel monastero, non volessero correggerlo o deporlo, allora l’abate del Nuovo Monastero e alcuni altri della nostra congregazione che egli porta con sé, si rechino in quel monastero e rimuovano dal suo ufficio il trasgressore della santa Regola. I monaci di quel luogo, alla presenza e con il consiglio degli abati, si eleggano un altro che ne sia degno. Se poi, l’abate e i monaci del suddetto monastero disprezzassero gli abati che vi si sono recati e non volessero emendarsi neppure per l’autorità di costoro, allora questi abati infliggeranno ai trasgressori la scomunica. Se in seguito, qualcuno di questi perversi, rinsavendo e volendo evitare la morte della propria anima desiderasse cambiare in meglio la propria vita e venisse ad abitare da sua madre, cioè al Nuovo Monastero, sia accolto come un monaco, figlio di quella abbazia. Senza questi motivi, e i nostri monaci dovranno fare del tutto per evitarli, noi non riceviamo nessun monaco di queste nostre abbazie a dimorare con noi, senza il consenso del proprio abate ed essi non accolgano i nostri a dimorare da loro. Noi non manderemo i nostri monaci a dimorare nelle altre abbazie, se il loro abate non lo consente, né manderanno i loro nella nostra. Se poi gli abati delle nostre abbazie vedessero la loro madre, cioè il Nuovo Monastero intiepidirsi nel santo proposito e deviare dalla rettissima via della santa Regola o del nostro Ordine, ammoniscano l’abate del luogo fino a quattro volte perché si corregga. Il provvedimento sia preso dai tre coabati, e cioè di La Ferté, di Pontigny e di Clairvaux, che agiscono in nome di tutti gli altri. Essi compiano con sollecitudine, nei suoi riguardi, tutto quello che abbiamo stabilito di doversi fare per gli altri abati che si allontanassero dalla Regola, eccetto che non saranno loro a sostituirgli un altro nel caso che rassegnasse le dimissioni, né a colpirlo con la scomunica se non vorrà dimettersi. Però, se non accogliesse il loro consiglio, non indugino a rendere noto al Vescovo e ai chierici della Chiesa di Chalon (nella cui diocesi si trova Cîteaux), la sua ostinazione. Chiedano che sia condotto alla loro presenza e, dopo aver discusso l’accusa, o lo restituiscano al suo ufficio emendato in tutto, oppure lo rimuovano dalla cura pastorale in quanto incorreggibile. Una volta allontanato, i fratelli di quel luogo inviino tre o più messaggeri alle abbazie direttamente fondate dal Nuovo Monastero e convochino entro quindici giorni, quanti più abati sarà possibile, e con il loro consiglio e aiuto Si eleggano un nuovo abate, come Dio avrà predisposto. L’abate di La Ferté, nel frattempo, presiederà a quella comunità, finché o questa venga restituita al medesimo pastore, pentito del suo errore con l’aiuto di Dio, oppure sia affidata ad un altro, eletto regolarmente al suo posto. Se invece il vescovo e i chierici della suddetta città fossero negligenti nel procedere contro il colpevole nel modo in cui abbiamo stabilito, allora tutti gli abati delle abbazie direttamente fondate dal Nuovo Monastero si rechino sul luogo della trasgressione, rimuovano dal suo ufficio lo stesso trasgressore della santa Regola, e subito i monaci di Cîteaux, alla loro presenza e con il loro consiglio, si eleggano l’abate. Se poi, l’abate colpevole e i suoi monaci non volessero ricevere i nostri abati e obbedire loro, non temano questi di colpirli con la spada della scomunica e separarli dal corpo della Chiesa cattolica. Se in seguito qualcuno di questi peccatori, finalmente ravvedutosi e desideroso di salvare la propria anima, si rifugiasse in una delle tre abbazie, e cioè a La Ferté, a Pontigny o a Clairvaux, sarà ricevuto come membro e coerede di tale monastero fino a quando verrà restituito, come è giusto, alla propria abbazia una volta avvenuta la riconciliazione. Nel frattempo però, l’annuale capitolo degli abati non si celebrerà nel Nuovo Monastero, ma dove avranno stabilito i tre abati sopra ricordati.

Capitolo decimo
Questa sarà la legge tra le abbazie non unite da legami di fondazione. Ogni abate, in tutti i luoghi del suo monastero dia la precedenza al suo fratello abate che gli farà visita, affinché si adempia la parola: Prevenitevi a vicenda nel rendervi onore. Se giungessero due o più abati, il più anziano in ordine di fondazione occuperà il posto più ragguardevole. Tutti però, eccetto l’abate del luogo, prenderanno i pasti in refettorio, come abbiamo detto sopra; altrove poi, ovunque dovessero riunirsi manterranno il proprio ordine, secondo la precedenza delle abbazie, in modo che sarà il primo colui la cui abbazia è più antica, a meno che uno di loro non indossi gli abiti liturgici. In questo caso precederà tutti nel coro di sinistra, e svolgerà tutte le cerimonie di primo, anche se fosse il più giovane. In qualsiasi luogo si raduneranno, si salutino scambievolmente con un inchino.

Capitolo undicesimo
I fratelli del Nuovo Monastero, alla morte del loro abate inviino, come abbiamo detto sopra, tre o più messaggeri, se lo desiderano, agli altri abati e riuniscano, entro quindici giorni, quanti più abati potranno e con il loro consenso si eleggeranno il pastore che Dio avrà voluto. Nel frattempo, l’abate di La Ferté, come abbiamo detto sopra per altra circostanza, tenga in tutto il posto dell’abate defunto fino a quando non ne sarà eletto un altro che, con l’aiuto di Dio, prenderà in consegna il monastero e il governo dello stesso luogo. Anche negli altri monasteri, privati per qualsiasi motivo del proprio pastore, i fratelli di quel luogo, invitino l’abate della abbazia che lo ha fondato e, alla sua presenza e con il suo consiglio, si eleggano come abate uno tra i loro fratelli, o del Nuovo Monastero oppure di un’altra delle nostre abbazie. Non è lecito infatti ai cistercensi prendersi un abate dalle abbazie che non appartengano all’Ordine o dare ad altri, a questo scopo, i propri monaci. Accolgano invece, senza ritrosie, qualunque persona che i monaci avranno eletto da un monastero qualsiasi del nostro Ordine.

Il privilegio del Papa Callisto Vescovo, servo dei servi di Dio, ai carissimi figli in Cristo, al venerabile abate Stefano e ai suoi monaci, salute e apostolica benedizione. Per disposizione della Provvidenza, noi siamo stati promossi al governo della Sede Apostolica allo scopo di accrescere, con l’aiuto di Dio, la religione e di favorire con la nostra autorità tutto ciò che è stato intrapreso nella via della pietà per la salvezza delle anime. Perciò, figli carissimi in Cristo, noi accondiscendiamo alla vostra richiesta con tutta carità e ci felicitiamo con affetto paterno del vostro spirito religioso, confermando con il sigillo della nostra autorità l’opera che voi avete intrapreso. Inoltre, con il consenso e la decisione comune degli abati, dei monaci dei vostri monasteri e dei vescovi nelle cui diocesi si trovano questi monasteri, noi abbiamo stabilito alcuni regolamenti riguardanti l’osservanza della Regola di san Benedetto e qualche altro punto che era necessario determinare nell’interesse dell’Ordine e del monastero di Cîteaux. E voi avete richiesto che, per la concordia del vostro monastero e per la sicurezza dell’osservanza religiosa, fossero confermati dalla Sede Apostolica. Perciò, congratulandoci del vostro progresso nel Signore, confermiamo con la nostra autorità questi regolamenti e la costituzione; inoltre dichiariamo che questa approvazione sia valida per sempre. Espressamente, in tutti i modi, noi decretiamo che nessuno degli abati possa ricevere i vostri religiosi senza la necessaria autorizzazione. Se qualche ecclesiastico o secolare fosse tanto temerario da levarsi contro la nostra approvazione e contro i nostri statuti, per l’autorità dei beati apostoli Pietro e Paolo e la nostra, noi lo colpiamo con la scomunica finché non si emenderà, in quanto perturbatore della religione e della pace monastica.
Ma colui che li avrà difesi riceva la grazia e la benedizione di Dio Onnipotente e dei suoi santi Apostoli.
Infine proibiamo a chiunque di ospitare i vostri fratelli conversi o professi.
Io Callisto, Vescovo della Chiesa cattolica, ho confermato. Fine della Carta di Carità.
Amen.