da La Voce e il Tempo – «Forse la mia protesta solenne avrebbe procurato a me una lode del mondo civile, ma avrebbe procurato ai poveri ebrei una persecuzione anche più implacabile». Confida Pio XII a un collaboratore nel 1942. Sessant’anni fa, il 9 ottobre 1958, nella residenza estiva di Castel Gandolfo, moriva Eugenio Pacelli (1874-1958), Papa (1939-1958) nei tempi tribolatissimi della seconda guerra mondiale.
Per vent’anni (1945-1963) Pacelli è osannato da esponenti politici e religiosi ebraici perché ha salvato migliaia di persone. Pinchas Lapide, ex console israeliano a Milano: «Non c’è Papa che sia stato ringraziato tanto calorosamente dagli ebrei per l’aiuto e la salvezza offerti ai loro fratelli in momenti di grave pericolo». All’elezione nel 1939 il «Palestine Post» lo saluta «una guida per la pace». Isaac Herzog, gran rabbino di Gerusalemme, il 28 febbraio 1944 scrive a mons. Angelo Giuseppe Roncalli, nunzio in Turchia e Grecia: «Il popolo d’Israele non dimenticherà mai i soccorsi apportati ai suoi sfortunati fratelli e sorelle da parte di Sua Santità e i suoi delegati, in uno dei momenti più tristi della nostra storia». La stampa nazista lo bolla «servo dell’internazionale ebraica e massonica».
Alla morte, 60 anni fa, il ministro degli Esteri israeliano Golda Meir, futuro primo ministro, scrive in Vaticano: «Quando il martirio più spaventoso ha colpito il nostro popolo durante i dieci anni del terrore nazista, la voce del Pontefice si è levata in favore delle vittime». Elio Toaff, rabbino capo di Roma, scampato al lager con l’aiuto del prete marchigiano Bernardino Piccinelli, testimonia: «Più di chiunque altro abbiamo avuto modo di beneficiare della grande e caritatevole bontà e della magnanimità del Pontefice, durante gli anni della persecuzione e del terrore, quando ogni speranza sembrava morta». E il rabbino Israel Zolli dopo la guerra si converte e si fa battezzare con il nome di Eugenio.
Improvvisamente il «Pastor angelicus» e il «Defensor civitatis» diventa il «Papa di Hitler e dell’Olocausto, il Vicario dei silenzi». Il 20 febbraio 1963, al teatro Kurfürstendamm di Berlino, va in scena «Der Stellvertreter. Il Vicario», cinque atti del drammaturgo tedesco Rolf Hochhuth, che accusa Pacelli di non aver protestato contro il genocidio. Robert Kempner, giurista ebreo americano, accusatore dei nazisti al processo di Norimberga, ipotizza che lo scopo di Hochhuth sia «distrarre l’attenzione dalla cattura dei nazisti clandestini».
La tesi sulla reticenza pacelliana diventa dogmatismo acritico e ubriacatura propagandistica che provoca clamorosi scivoloni, come quello del rabbino Meir Lau che nel 1998 a Berlino, per i 50 anni della «Notte dei cristalli», spara a zero: «Dov’era il Papa quel giorno? Dov’era Pio XII il 9 novembre 1938, quando i nazisti distruggevano sinagoghe e negozi degli ebrei? Perché non condannò la “Kristallnacht”?». Non la condannò semplicemente perché non era ancora Papa: lo diventerà quattro mesi dopo, il 2 marzo 1939. È un’offesa alla verità l’effige e la didascalia di Pio XII esposte a Gerusalemme nel Museo dedicato ai capi di Stato antisemiti e non nel «Giardino dei Giusti fra le Nazioni» nello «Yad Vashem, Museo dell’Olocausto».
Pacelli si muove su un duplice piano: salva il più alto numero possibile di ebrei e perseguitati; condanna le nefandezze dei dittatori. «Opus iustitiae pax» il suo motto. Nell’impossibilità di arginare il conflitto, cerca di salvare più persone che può. Migliaia di ebrei, perseguitati, comunisti, socialisti, popolari, azionisti, zingari, omosessuali, handicappati, uomini e donne della Resistenza trovano rifugio nei conventi, negli edifici extraterritoriali, nei palazzi del Laterano e di Castel Gandolfo, nelle canoniche e nelle parrocchie di tutta Italia. Vive un lacerante dilemma: parlare e condannare a morte migliaia di persone; o tacere e agire per la loro salvezza? Il 20 febbraio 1941 esclama: «Quando il Papa vorrebbe gridare forte, è costretto al silenzio dilatorio; quando vorrebbe agire e soccorrere è costretto alla paziente attesa». Una moltitudine di testimoni e montagne di documenti smentiscono la sciagurata «leggenda nera» di Pio XII.
«Abbandonarsi nelle mani misericordiose di Dio» è il suo atteggiamento in tutta la vita: nunzio a Monaco di Baviera e poi a Berlino fino al 1929; collaboratore di Benedetto XV nel tentativo di fermare «l’inutile strage» della Grande Guerra; intuisce il pericolo dell’ideologia nazionalsocialista con la sua perniciosa radice antisemita e anticattolica; cardinale segretario di Stato dal dicembre 1929, collabora ai documenti contro i totalitarismi. Pacelli prepara le encicliche, Pio XI le promulga: «Non abbiamo bisogno» (1931) contro il fascismo; «Divini Redemptoris» (1937) contro il comunismo ateo; «Firmissimam constantiam» (1937) sul totalitarismo messicano; «Mit brennender Sorge, con bruciante preoccupazione» (1937) contro il nazismo. Mons. Quirino Paganuzzi ricorda: «Pio XI ricevette, insieme a Pacelli, due cardinali tedeschi: Michael Faulhaber di Monaco e, non ricordo se Karl Joseph Schulte di Colonia o Johannes Adolf Bertram di Breslavia. Diede loro da leggere il testo pregandoli di esprimere pareri e osservazioni. Indicando Pacelli, scandì: “Ringraziate lui; ha fatto tutto lui; ormai è lui che fa tutto. È a lui che dovete pensare”».
Eletto Pontefice il 2 marzo 1939, nel radiomessaggio del 24 agosto 1939 esclama: «Imminente è il pericolo, ma è ancora tempo. Nulla è perduto con la pace. Tutto può esserlo con la guerra». Difende i perseguitati senza distinzione di religione, etnia, nazionalità, appartenenza politica. Invitato a mettersi in salvo, risponde: «Non lascerò il mio posto, anche dovessi morire». Si priva di cibo, stufa, comodità, vacanze per condividere la vita della gente provata da bombardamenti e guerra.
Hochhuth lo attacca a testa bassa e nel secondo atto afferma: «Un vicario di Cristo che ha tutte queste crudeltà dinanzi agli occhi e per ragion di Stato aspetta anche solo un giorno, anche una sola ora per elevare la voce del suo cuore in maledizione… un Papa simile è un assassino». La tesi del silenzio è smentita dai discorsi con chiari riferimenti agli ebrei. Nel radiomessaggio di Pasqua 1941 afferma: «Nulla può impedirci di adoperare le armi della preghiera e della carità a servizio del diritto, dell’umanità e della pace. Nulla può impedirci dal richiamare al precetto dell’amore i figli della Chiesa, coloro che ci sono vicini con la fede nel Salvatore, o almeno nel Padre che è nei cieli (l’allusione agli ebrei è evidente, n.d.r.). Scendano le benedizioni divine sulle vittime della guerra: su voi, prigionieri; sulle vostre famiglie; su voi, profughi che avete perduto case e campi. Sentiamo la vostra ambascia e soffriamo con voi».
Nel radiomessaggio natalizio 1941aggiunge: «La forza soffoca e perverte il diritto e le nozioni di bene e di male, diritto e ingiustizia perdono senso fino a scomparire. La maestà e la dignità della persona e delle società è mortificata, avvilita e soppressa dall’idea che la forza crea il diritto. In alcuni Paesi una concezione dello Stato atea o anticristiana avvinse gli individui. Nell’ordinamento fondato sui principi morali non vi è posto per la guerra, la corsa agli armamenti, la persecuzione religiosa. In alcune regioni le leggi attraversano la via alla fede cristiana ma concedono ampio e libero passaggio a una propaganda anticristiana; sottraggono la gioventù all’influenza della famiglia e la estraniano alla Chiesa; la educano in uno spirito avverso a Cristo instillando concezioni e pratiche anticristiane; rendono ardua l’opera della Chiesa nella cura delle anime e nella beneficenza; disconoscono e rigettano il suo influsso sull’individuo e sulla società».
Nel radiomessaggio natalizio del 1942 asserisce: «La dottrina che rinnega l’essenziale connessione con Dio, segue un falso cammino: costruisce con una mano, prepara con l’altra i mezzi che distruggeranno l’opera. Il rapporto dell’uomo verso l’uomo, dell’individuo verso la società, dell’autorità verso i doveri civili, della società e dell’autorità verso i singoli debbono essere posti su un fondamento giuridico e tutelati dall’autorità giudiziaria. Ciò suppone norme giuridiche che non siano stravolte con abusivi richiami a un supposto sentimento popolare e il riconoscimento del principio che lo Stato è obbligato a ritirare le misure lesive della libertà, della proprietà, dell’onore, dell’avanzamento e della salute dei singoli. Occorre costruire un ordine in cui il rispetto delle leggi umane e divine assicuri a tutti dignità e libertà: questo l’umanità lo deve alle migliaia di persone che, per ragione di nazionalità e di stirpe, sono destinate alla morte. Bisogna evitare la concezione che rivendica a particolari nazioni o stirpi o classi l’istinto giuridico, quale inappellabile norma».
Il 27 dicembre 1942 il «New York Times» commenta: «La condanna del Papa al massacro degli ebrei è perentoria come quella di un’Alta Corte di giustizia e il forte stigma impresso sull’ingiustizia è pari se non superiore a quello manifestato dai responsabili delle Nazioni alleate».
Il 30 aprile 1943 Pio XII scrive a mons. Konrad Von Preysing, vescovo di Berlino: «Ci ha recato grande consolazione sentire che i cattolici berlinesi hanno recato soccorso ai cosiddetti non-ariani nella loro afflizione. Esprimiamo un sentimento di paterno riconoscimento e di intima compassione per il prelato Bernhard Lichtenberg, che è in prigione». Parroco della Cattedrale, protesta contro la persecuzione degli ebrei e l’assassinio dei malati mentali. Avviato al campo di concentramento di Dachau, muore di stenti il 5 novembre 1943.
Il 2 giugno 1943 il Papa denuncia il razzismo nazista e lo sterminio degli ebrei: «In un tempo in cui maturano gli amari frutti di false teorie, riteniamo nostra alta e precipua cura denunziare gli errori che sono alla radice di tanti mali, affinché gli uomini tornino sulla via della salvezza».
Nel 1944 il rabbinio André Zaoui, cappellano del Corpo di spedizione francese, gli scrive «i sentimenti di profonda riconoscenza e rispettosa ammirazione dei miei fratelli israeliti per il bene immenso e la carità incomparabile che Vostra Santità ha prodigato agli ebrei. A Roma l’”Istituto Pio XI” ha protetto per più di sei mesi una sessantina di bambini ebrei. Sono rimasto ammirato per la sollecitudine paterna che i responsabili avevano per queste giovani anime».
Il 29 novembre 1945 agli 80 ebrei scampati ai campi – che ringraziano «per la generosità dimostrata verso di noi perseguitati» – Pacelli spiega: «La Chiesa, consapevole della sua missione religiosa, mantiene un saggio riserbo di fronte alle singole questioni. Ciò non le impedisce di proclamare i grandi principi di umanità e fraternità. Avete provato i danni e i morsi dell’odio ma avete sentito anche i benefici e le delicatezze dell’amore».
Il 3 agosto 1946 al Supremo Comitato arabo della Palestina e nel 1948 all’United Jewish Appeal del «tribolatissimo popolo ebraico» condanna «il ricorso alla forza e alla violenza, come abbiamo condannato a più riprese le persecuzioni che un fanatico antisemitismo scatenava contro il popolo ebraico».